Narra un'antica leggenda araba che un tempo il mondo era coperto di giardini lussureggianti, palmeti ombrosi e ruscelli d'acqua fresca. Un paradiso in terra, nel quale gli uomini vivevano felicemente. Ma questo Eden non era destinato a durare. Gli uomini cominciarono a litigare e a ingannarsi l'un l'altro; per punirli, Allah prese a gettare un granello di sabbia per ogni menzogna pronunciata. Fu così che si formò il deserto del Sahara. Un solo luogo rimase verde e fiorito come un tempo. Ed è lì che venne fondata la città chiamata Marrakech.
Se pensassimo al Marocco come a un corpo umano, potremmo dire che la città imperiale di Marrakech potrebbe essere il suo intestino. Il suo souk, è il più intricato e grande del mondo. I suoi abitanti masticano i dialetti Tamazight di tutto il Marocco insieme alle lingue di tutti i turisti che affollano soprattutto la sua medina. Traffico, scooter guidati da donne velate sorpassano taxi sgangherati; bici e pedoni incrociano asini e carretti. Dentro, sotto un tetto di canne di bambù, un'infilata di botteghe coloratissime si dipana nei vicoli, venditori affabili mostrano tessuti, babbucce, teiere, oggetti in legno, gioielli d'argento, bicchierini di vetro, gabbie con uccellini e tartarughe.
A Marrakech si fa sempre indigestione, e non c'entrano couscous e tajine. È la Medina, la città vecchia, che cattura e sopraffà con la sua luce, le musiche e le grida, gli odori delle spezie.
Marrak, così la chiamano i berberi, aspirando un po’ le doppie rr, è un labirinto olfattivo: fiori d’arancio, cumino, curry, coriandolo, zenzero e cannella, rosa, odore di palmeti, terra e polvere al sole, tajine, pelle, te alla menta.
Ciò che la rende magica è anche la sua luce, le lanterne moresche che proiettano sagome sfaccettate, il labirinto del souk che corre nella fresca penombra, nel buio degli usci socchiusi per poi sbucare nell’accecante sole che illumina le corti dei riad in una grande alchimia.
Ci sono spa e hammam dove rilassare corpi ed anime, avvolti da sapone nero e vapore.
“Kan ya ma kan”… C’era una volta.
Tutte le storie passano da piazza Jemaa El Fnaa, il cuore della Medina, l’ombelico della città. Fachiri, incantatori di serpenti, dentisti, cartomanti... Bisogna affrontare la caotica marea umana che si riversa qui all’ora del tramonto per comprenderne l’incanto. Vi coglie all’improvviso, magari mentre cercate di scansare un venditore di scimmie o di rifiutare con cortesia chi cerca di dipingervi le mani con l’hennè. Tutti i sensi sono messi in gioco e si muovono in una danza inebriante.